Le università italiane e il mondo del lavoro: due universi paralleli?  Dipende dalle nostre scelte

Le università italiane e il mondo del lavoro: due universi paralleli? Dipende dalle nostre scelte

In Italia si soffre molto per la carenza di opportunità per i giovani una volta laureati perchè manca corrispondenza fra domanda e offerta lavoro. Mancano politiche giovanili serie in grado di garantire un facile ingresso nel mondo del lavoro. Spesso sogno irrealizzabile per molti ragazzi

In Italia il tema della mancanza di opportunità lavorative per i giovani laureati è più che mai attuale, nonché al centro del dibattito politico odierno. È sufficiente interpellare Google per capire quanta attenzione sia stata dedicata dai media, solo negli ultimi due anni, all’assenza di legami fra molte facoltà universitarie e il mondo del lavoro, di conseguenza al distacco fra ciò che si apprende nell’ambito dei percorsi di laurea e ciò che invece è richiesto in quello lavorativo.
Tutto questo sembra essere alla base della disoccupazione giovanile italiana, vera piaga sociale di cui l’opinione pubblica accusa sia le università sia le aziende private. Quest’ultime, infatti, di recente sono sempre più esigenti e intolleranti sul tema della formazione dei neolaureati che, guarda caso, all’estero invece trovano quasi sempre subito un impiego sicuro e compatibile con il proprio settore.
A quanto pare, quindi, la laurea presa in Italia gode ancora di una certa considerazione: in teoria assicurerebbe ovunque maggiori guadagni attraverso possibilità di lavoro migliori, ma questa affermazione è paradossalmente smentita dai ragazzi che al contrario, terminato il percorso universitario, decidono di non scappare altrove (almeno non subito), e iniziano quella lunga odissea che è ancora la ricerca di un valido impiego.
Molti di loro inoltre, specie i laureati nelle materie umanistiche, affermano il mancato riconoscimento del titolo faticosamente conseguito rispetto al lavoro svolto, dal momento che soprattutto nel ramo dell’insegnamento privato – come quello nei Centri di Studio per le ripetizioni e il recupero degli anni scolastici – la retribuzione di un docente va dagli 8 ai 10 € l’ora netti, di fatto l’equivalente di quanto guadagnano le colf o le badanti.
Quindi a fare ancora la parte del leone nella nostra società è innanzitutto l’ambito nel quale è stata ottenuta la laurea, da cui dipende la reale spendibilità del titolo a livello di mercato.
Solo per fare qualche esempio, bisogna sapere che la maggior parte dei neolaureati nell’ormai sterminata moltitudine degli indirizzi umanistici alternativi – dunque gli studenti che, vuoi per ingenuità vuoi per interessi specifici, scelgono percorsi come Beni Culturali, Scienze della moda e del costume o Arti e Scienze dello Spettacolo – ovviamente non riesce a trovare alcuna occupazione compatibile con i propri studi, scoprendo poi, oltre tutto, di non avere neanche i requisiti necessari per poter eventualmente insegnare alcune materie. Quasi sempre per il settore didattico servono diversi esami in più e perciò altri crediti da ottenere in specifiche discipline, per assurdo assenti nel piano di studi proposto.
Eh già, perché l’aspetto più grave nell’erogazione di questi corsi universitari rimane l’incompatibilità con le richieste del mercato del lavoro, maggiore quando mancano i tirocini – sia pure gratis, come prevede purtroppo la realtà italiana di norma – o delle informazioni veritiere sulle opportunità di assunzione garantite dall’indirizzo. Insomma, il mondo universitario rimane fermo sul moltiplicare le opzioni di formazione – per altro, in generale, troppo teorica – piuttosto che non concreti itinerari di inserimento lavorativo post lauream: è vero che i tagli all’istruzione sono micidiali, ma rimane il problema del modo in cui i pochi fondi a disposizione continuano a essere investiti. In conclusione, data la gravità dell’attuale crisi economico-lavorativa in Italia, i professionisti che soffrono di meno nella ricerca di un lavoro sono ancora i giovani laureati in medicina, in economia o in ingegneria.
Inoltre il problema dell’insufficienza dei posti di lavoro – specie per quanto riguarda il settore pubblico – rispetto ai numeri di chi si laurea, resta tragicamente vero: e dire che l’Italia è attualmente al penultimo posto nella lista dei paesi europei per il numero dei giovani laureati. Questo paradosso dimostra che il sistema lavorativo è in generale inefficace perché vecchio e inadeguato ai tempi. Se è vero che l’Italia soffre per la fuga dei cervelli ancora in atto, sarebbe opportuna una riforma del mondo del lavoro lontana dall’assistenzialismo del reddito di cittadinanza o del programma “garanzia giovani”, e davvero rivolta ai professionisti di domani: i ragazzi che ogni giorno lottano per affermarsi in un paese che, a dispetto di quanto afferma, sembra rifiutarli.

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